L’idea per la stesura de “L’uomo che non c’era” mi è venuta un giorno di più di quattro anni fa, quando sono incappata in un’immagine di Michael Fassbender, tratta da una scena di “Hunger”.

Non sono una sua fan sfegata, anche se lo reputo un bravo attore e un uomo affascinante. La magia però stava in quell’immagine specifica: volto sofferente, occhi foschi, sigaretta accesa e capelli scompigliati. C’è voluto forse un secondo perché nella mia mente nascesse Jimmy O’Brien, un uomo cupo e freddo, avvolto perennemente da una nube di fumo.

E il fumo mi ha portato al periodo fumoso per eccellenza, la fine degli anni ’20, a Chicago, tra vicoli umidi e contrabbando, tra agguati e gang rivali.

La storia, infatti, si svolge proprio a Chicago. La famiglia protagonista del romanzo è totalmente inventata, così come lo sono le interazioni con personaggi reali quali Bugs Moran e Al Capone, Sam Giancana e altri. Tutto ciò che è scritto all’interno del romanzo è pura invenzione, ci tengo a sottolinearlo, tranne un avvenimento legato ai gangster reali presenti nella storia.

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